07/04/11

IL SENSO DELL’UNITA’ - Riflessioni proposte dalla nostra socia Leda

Ricorre in questi giorni la celebrazione per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Sarà una cerimonia vittima della retorica sterile o piuttosto un’occasione di riflessione per il futuro? Sono numerose  le spinte   di un filone culturale antiunitario e antinazionale che è tutt’altro che estraneo al dibattito storico politico italiano. Non poche nei decenni sono state le resistenze all’unificazione nazionale, non poche sono state le ribellioni, anche cruente, che si sono manifestate, verso uno Stato visto come oppressore, lontano dagli interessi dei cittadini, sprecone, burocratico e accentratore. Proposte apparentemente innocue come il voler scegliere gli insegnanti scolastici in base alla loro origine geografica, l’elezione diretta dei magistrati, le quote di case popolari assegnate non in base al reddito ma alla provenienza territoriale, l’insegnamento dei dialetti regionali nelle scuole, a ben vedere avrebbero come effetto una sostanziale ghettizzazione di chi non è puramente autoctono. Il Veneto ai veneti, la Lombardia ai lombardi e cosi via……Nelle scuole venete ad esempio sarebbero epurati gli insegnanti di origine meridionale, la lingua italiana sarebbe messa in secondo piano rispetto agli idiomi locali, i pubblici ministeri eletti dal popolo dovrebbero essere puramente nativi del posto, perché si sa che i delinquenti non sono mai nostri paesani ma vengono sempre da fuori, che arrivino da Napoli o Tunisi non fa differenza, basta che ci sia la caccia all’untore che tanto alleggerisce le coscienze dei ben pensanti. Separare i puri dagli impuri, lo straniero dal nativo, quando per straniero non si intende esclusivamente l’immigrato extracomunitario, poco importa se regolare o clandestino, ma anche coloro che negli anni ’60 dal sud salirono per prestare le loro braccia nelle fabbriche settentrionali, i “terroni”.
 Come rispondere a queste domande separatiste? Non con la demonizzazione nè con la banalizzazione ma con l’avvio di un vero risorgimento culturale Italiano che sappia ridefinire quella che è l’Identità Italiana nel terzo millennio. L’unità da celebrare non tanto con pomposi tagli di nastri nè con il rispolvero di qualche monumento a Mazzini sparso in ogni nostro municipio ma con la ridefinizione di un nuovo concetto di appartenenza comunitaria che includa tutti coloro che partecipano e vogliano partecipare allo sviluppo ed alla crescita della Nazione, partendo dalle giovani generazioni. Le spinte secessioniste trovano infatti fonte d’ispirazione nelle innumerevoli inefficienze dello Stato, negli atavici vizi della politica e della società, in tanti stereotipi e pregiudizi che nell’immaginario collettivo sono presenti. Disegnare un quadro di esempi virtuosi, mostrare l’Italianità che unisce e che crea sviluppo e benessere, quell’antico spirito della gens italica che in giro per il mondo ha portato civiltà e cultura. Celebrare l’Unità guardando al futuro, cercando i modi per integrare chi in Italia è arrivato o vi è nato da famiglie non italiane ma non per questo meno la ama.  Inverare una giustizia sociale che rifugga gli egoismi e diffonda armonia tra lavoro e capitale. Immaginiamo di chiedere ad un ragazzo originario di un altro continente, da pochi anni stabilitosi dalle nostre parti, cos’è per lui l’Italia. Sono certa di trovare nelle sue parole il vero significato dell’Unità che oggi iniziamo a celebrare dopo 150 anni di storia. Non credo parlerà di federalismo fiscale ma descriverà un immaginario fatto di sogni, di profumi, di colori, che lui ha sognato, che dipingono le nostre campagne, le nostre città, le nostre coste, le nostre cime, ci parlerà d’arte, di ospitalità, di fantasia, di spirito d’impresa, di gioia di vivere, di voglia di rischiare, di pace, di tutto ciò per cui noi siamo uniti e per cui in tanti guardano con ammirazione la nostra Patria, mentre troppi di noi, per spirito di fazione la vorrebbero in un’eterna lotta di classe tra persone e tra territori. Forse per ritrovare noi stessi, qualora ci sentissimo smarriti, se chiedessimo a chi ci appare straniero, di descriverci, forse troveremmo i motivi per una convivenza più civile e produttiva.

19-03-2011,  Leda

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